Pierre Bourdieu….parole per capire di più…per una pace migliore.

Bourdieu è uno strutturalista critico. Infatti, egli aderisce, in certa misura, alle tesi dello strutturalismo, secondo cui nel mondo sociale vi sono strutture indipendenti dalla coscienza dell’individuo e dal suo volere le quali delimitano in modo specifico il comportamento dell’attore sociale. Bourdieu ama definire la propria posizione teorica come “costruttivista strutturalista”: a suo avviso, gli individui possono costruire fenomeni sociali tramite il loro pensare e il loro agire, ma tale costruzione avviene sempre all’interno di un’ineludibile struttura che mai può essere rimossa. A questo proposito, per spiegare il rapporto che vincola l’individuo alla struttura, Bourdieu utilizza un’immagine piuttosto efficace: come la grammatica condiziona ma non determina il nostro linguaggio, così la struttura condiziona ma non determina il nostro agire. In forza di questa concezione della struttura, il filosofo francese può sottoporre a critica lo strutturalismo classico, che assume la struttura come autonoma e determinante. In particolare, Bourdieu attacca Talcott Parsons e il suo “strutturalismo funzionalistico”, accusandolo di non riconoscere quella contingenza che sfugge alla struttura e che caratterizza il nostro agire. In particolare, secondo il nostro autore, gli attori sociali non sono automi che si conformano ai ruoli che la società impone. Al contrario, essi godono di una certa libertà nell’agire, sono creativi e imprevedibili, e fanno uso di quel “senso pratico” grazie al quale possono adeguarsi alle situazioni più disparate. Grazie al senso pratico, nota Bourdieu, possiamo aggiustare di volta in volta il nostro ruolo in funzione delle concrete situazioni che ci si presentano, adattandoci a esse. Oltre alla posizione strutturalista classica (Parsons, Levy-Strauss), che trascura indebitamente la creatività e la capacità di adattamento dell’attore sociale, Bourdieu attacca anche la pretesa oggettività dello scienziato: al centro dello scritto Homo academicus sta appunto l’uomo accademico che riduce la vita sociale a concetti oggettivi, impoverendola incredibilmente e illudendosi di far valere un atteggiamento neutro e distaccato dalla realtà descritta. Per l’uomo accademico, che coincide con lo scienziato, il mondo è un insieme non di attività pratiche, bensì di prestazioni cognitive. La critica allo strutturalismo, tuttavia, non conduce Bourdieu sull’opposta sponda del volontarismo: egli riconosce la forza condizionante (anche se non determinante) dei fatti sociali, e proprio in forza di tale riconoscimento sottopone a critica il creativismo assoluto e l’interazionismo. La cultura infatti non può essere ridotta a mondo di simboli dei quali gli individui dispongono con libertà assoluta. La posizione di Bourdieu  sembra dunque collocarsi a metà strada tra il determinismo degli strutturalisti e il “volontarismo” degli interazionisti. In particolare, gli interazionisti (ad esempio Erving Goffman) esagerano la capacità degli individui di negoziare l’identità e di definire la situazione. Criticando l’interazionismo, Bourdieu scopre il materialismo nella sua accezione marxiana: l’interpretazione dei simboli e la definizione di situazioni sono sempre inaggirabilmente legati a strutture che sfuggono, almeno in parte, al controllo dell’individuo. Pur avvicinandosi al marxismo, il pensatore francese evita le secche sia dell’oggettivismo senza soggetto (Levy-Strauss), sia dell’idealismo ermeneutico. Egli attacca pure l’utilitarismo, rinfacciandogli di non essere in grado di capire che non solo l’agire economico, ma pure quello simbolico è un agire razionale. Alla base di tale critica, sta la convinzione che la razionalità non sia riducibile a vantaggi immediati: tutte le pratiche umane sono rivolte a interessi (perfino la solidarietà), che però non sono quelli immediati a cui pensava l’utilitarismo. Sicché, anche quando stiamo rifiutando l’interesse immediato, in realtà stiamo perseguendo interessi mediati. Bourdieu si concentra sui “principi generativi” coi quali gli individui costruiscono fenomeni sociali e culturali. Egli è convinto, sulla scia di Karl Marx, che ciascuno di noi si muova all’interno di una certa ideologia a seconda della classe di appartenenza. Bourdieu, andando oltre Marx, distingue tra quattro diversi tipi di capitale:

  1. a)     Capitale economico (denaro, mezzi di produzione)
  2. b)    Capitale sociale (reti sociali)
  3. c)     Capitale culturale (lingue, gusto, way of life, ecc)
  4. d)    Capitale simbolico (simboli di legittimazione).

Questi quattro tipi di capitale sono convertibili l’uno nell’altro, nel senso che chi ha la cultura (capitale culturale) può tradurla in denaro (capitale economico), e così via. Sulla base di questa distinzione del capitale, Bourdieu può distinguere diverse classi sociali: anche in ciò, egli rimane fedele a Marx e, a un tempo, si spinge oltre. Infatti, la distinzione marxiana tra borghesi (dominatori) e proletari (dominati), che nel tempo in cui fu pensata era sicuramente valida, oggi è del tutto inadeguata per comprendere una situazione sociale che si è fatta più complessa e intricata. Si tratta dunque di portare il marxismo “all’altezza dei tempi”; come avrebbe detto Antonio Gramsci. La classe che sta più in alto, dice Bourdieu, è quella che ha tutti e quattro i tipi di capitale in misura maggiore: ma ciò non vuol dire che le classi siano gerarchiche e fisse come in Marx. Le tre classi principali (classe alta, classe media, classe bassa) si dividono a loro volta in tre livelli interni: così, all’interno della classe alta, vi sarà un “gruppo” (milieu) alto, uno medio e uno basso; e così nelle altre due classi (la media e la bassa). In particolare, per quel che riguarda la classe sociale alta, il gruppo alto è quello della borghesia con grande capitale economico; quello medio è quello dei professionisti; e quello basso è quello degli intellettuali e degli artisti. Alla luce di questa suddivisione, le classi tendono a sfumare le une nelle altre e a perdere quella rigidità con cui si configuravano nel marxismo tradizionale: così, il gruppo alto della classe alta può trovarsi a condividere interessi del gruppo alto della classe media. Detto altrimenti, ci si trova in una situazione in cui si hanno comunità di interessi che prescindono dalle diversità di classe: di conseguenza, la stessa “lotta di classe”, che agli occhi di Marx si configurava come semplice scontro tra dominati e dominanti, diventa più complessa e meno definita nei suoi contorni. Bourdieu insistre molto sul momento culturale: chi fa parte di una classe ha una certa visione del mondo, certi costumi. È ciò che il nostro pensatore chiama habitus, categoria nella quale rientrano, in definitiva, tutte le cose condivise in una certa classe (comportamenti, gusti, idee, giudizi). L’habitus “non è un destino”, è piuttosto l’“inconscio collettivo” di una classe sociale, la quale non sa di avere quell’habitus. Rispetto a Marx, la vera novità risiede nel fatto che la classe sociale non dipende soltanto dall’economia, ma anche dalla cultura, dall’estetica e dalla morale: a tal punto che gli stessi conflitti di gusto sono conflitti di classe. In particolare, ad avviso di Bourdieu, ci sono due diversi gusti: il “lusso” e la “estetica popolare”. Il primo appartiene alla classe superiore e astrae dal momento economico; il secondo appartiene alla classe inferiore e ha a che fare con necessità materiali.

 

Mi ero soffermato su questo autore per un saggio interessante “Sulla Televisione” che riprendeva alcune idee di Giovanni Sartori nel suo “Homo videns”, qui sono riproposte le sue idee in filosofia e economia da un portale di Filosofia. Sono parole queste del portale di Filosofia che aiutano a capire ed a orientarsi in un mondo post-moderno che rinunciando a tutti gli –ismi possibili si ritrova talvolta disorientato e fragile, senza sicurezze, parole di ordine e certezze!!!!

Grazie!

 

 

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