Vagabondare.
Sono arrivata di sera. Entrando in paese sono immersa nelle luci e nei colori di un luogo irreale. La prima cosa che noto è una costruzione geometrica, affusolata, sprizzante luce di un coloro rosa pallido, penetrante. Cammino in un luogo che mi è caro e parimenti sconosciuto, circondata da vetrine luminescenti e bar affollati, attraverso strade frequentate da presenze sorte per magia, estranee ai dolci ricordi dell’ infanzia. Cammino nella penombra, tra profili di vecchie botteghe appartate. E mi ritrovo all’interno della Pensione dove ho trascorso le mie giovani estate riconoscendo i segni che le hanno rese uniche e irrepetibili. “Come mai sei qui?”, mi chiede la padrona di casa, la stessa di allora, no, più giovane ancora, “Avevo voglia di tornare” e le mostro un foglio su cui ho disegnato una linea retta che lo divide simmetricamente in due parti bianche. “Andrò a Parigi per un esame, andrò con Tery e porteremo molti libri da leggere, ora ti lascio perché ho da fare”, e si allontana. Io mi ritrovo per la strada ormai deserta. E’ notte piena. Con le mani in tasca penso che dovrò cercare un albergo. Non guido mai con il buio.
di Roberta Trice